
Vocazioni e scelte di vita: una sintesi possibile
La vocazione nasce prima di noi e anzi guida la nostra nascita, poiché siamo noi che scegliamo la nostra vita. Solo che non lo ricordiamo.
Veniamo al mondo con il preciso scopo di riempire i contorni di un’immagine, di un pattern che preesiste e i cui spazi si vanno colmando, man mano che procediamo lungo il viaggio dell’esistenza.

Chi sono io?
Qual è la mia missione a questo mondo?
Ci sono cose a cui devo dedicarmi al di là del quotidiano?
Esiste qualcosa dentro di me che mi induce ad essere in un certo modo, a fare certe scelte, a prendere certe vie?
Se esiste, dice Hillmann, è la chiave per leggere il Codice dell’anima, quella sorta di linguaggio cifrato che ci spinge ad agire ma che non sempre comprendiamo.
La missione di ognuno di noi è scritta nel nostro codice genetico e Hillman ce lo mostra attraverso esempi famosi, storie vere.
La direzione è data dalla vocazione innata, che consente all’unicità di cui sono portatore di esprimersi.
Un esempio. Concorso per dilettanti alla Opera House di Harlem.
Sale timorosa sul palco una sedicenne goffa e magrolina. Viene presentata al pubblico “Ed ecco a voi Miss Ella Fitzgerald…ballerà per noi…Un momento…un momento….Come dici dolcezza?…Mi correggo signore e signori…Miss Fitzgerald ha cambiato idea…non vuole ballare…vuole cantare…”.
La vocazione al canto di E.F. è stata più forte di tutto. Ha preso il sopravvento, si è manifestata nell’esatto momento in cui poteva essere ascoltata.
Il mito di ER
Per dare spessore a quella che lui definisce la “Teoria della Ghianda” (è il nucleo fondante di ogni individuo unico e irripetibile a far scaturire il suo cammino), Hilmann prende a prestito un mito introdotto da Platone nel X libro de La Repubblica, Il mito di ER.
Le anime che provengono da vite precedenti e soggiornano nell’aldilà, hanno ciascuna un destino da compiere, una parte assegnata che corrisponde al carattere di quell’anima, che si sceglie la vita in cui vuole reincarnarsi.
Prima di fare il loro ingresso nella vita umana, però, le anime attraversano la pianura di Lete (oblio, dimenticanza). Sicché al loro arrivo sulla terra ciò che è accaduto viene cancellato.
Hanno dimenticato tutto. Solo il daimon che è stato loro assegnato ricorda…
Questa teoria riconduce all’uomo la responsabilità della vita che si è scelto e lo sgancia dai condizionamenti familiari o sociali cui viene sottoposto.
Hilmann scardina – con il mito platonico – il Mito della Madre, intesa come Grande Madre Archetipica origine di ogni bene e di ogni male, da cui nasce quel sistema di credenze, che intrappola le madri in un destino irreversibile e i figli nel risentimento contro le madri.
In realtà è il daimon a prenotare in anticipo la madre, forse ancora la predetermina.
Nella pratica, quindi, possiamo rileggere la nostra vita come un dipanarsi di eventi che originano da un’allineamento alla visione primaria, all’imprinting che ho avuto prima di nascere.
Secondo questa teoria, molto suggestiva, tutto quel che capita va, quindi, sempre visto con la consapevolezza che potrebbe trattarsi di un passaggio necessario alla realizzazione della mia missione.
Spesso lungo il cammino avvengono eventi inaspettati, intervengono figure che cambiano completamente la direzione del nostro destino.
Può, per esempio, succedere che qualcuno più avanti di noi nel cammino di crescita interiore veda prima ancora di noi stessi quei semi che, se adeguatamente coltivati, faranno nascere succosi frutti.
Hilmann introduce la figura del mentore come di colui che intravede il daimon e gli da corpo.
Seguire la traiettoria con dedizione è abbastanza facile. Il più delle volte lo sentiamo quel che dobbiamo fare. L’immagine del cuore può avanzare forti pretese e chiederci di essere fedeli.
Il difficile è dare un senso agli accidenti e comprendere se le folate che ci trattengono sono diversivi o hanno ciascuno un particolare scopo.
La vocazione guida i nostri passi
“La vocazione nasce prima di noi e anzi guida la nostra nascita, poiché siamo noi che scegliamo la nostra vita. Solo che non lo ricordiamo.”
Ma il daimon che ci è stato assegnato ci ricorda quale direzione seguire e lo fa inaspettatamente.
Questa consapevolezza ci distoglie dall’ossessione di attribuire ai nostri genitori le cause dei nostri mali e anzi ci riporta a noi, dandoci strumenti per intervenire. Perché anche i genitori devono seguire il proprio daimon.
A volte interviene un mentore a svelarci la strada e anche eventi apparentemente negativi sono portatori di una saggezza dell’anima che va comunque capitalizzata.
La comprensione intellettuale del cammino non è quasi mai possibile.
Occorre attivare delle modalità di conoscenza diverse legate alla sfera dell’intuizione, aprirci all’immaginazione, ricomporre le nostre emozioni, i nostri sentimenti, le nostre aspirazioni, le nostre paure in una sintesi integrata guidata dalla coscienza.
E’ un cammino di consapevolezza e di trasformazione che può essere aiutato
Note a margine di Hillman, Il Codice dell’Anima, Adelphi