
Active learning e soft skills: la filiera della formazione dalle aziende alle università
Il mondo del lavoro cambia molto velocemente. E cambiano altrettanto velocemente il tipo di competenze richieste per affrontarlo. Il modo aziendale e quello universitario rischiano di essere ancora molto distanti tra loro anche se conoscere le migliori pratiche aziendali potrebbe aiutare gli studenti ad apprendere in un altro modo.

Stiamo passando da un mondo basato su valori comuni ad un mondo multiconcettuale, caratterizzato da narrative complesse.
Collettivamente ci avviciniamo – inesorabilmente – a una nuova fase della cooperazione globale: la globalizzazione 4.0. Ogni anno il World Economic Forum redige un rapporto relativo al futuro del mondo del lavoro (The future of Jobs annual report 2018 è l’ultimo) in cui analizza le competenze più adatte a fronteggiare le sfide proposte. Sicuramente emergeranno nuove categorie di lavori che parzialmente o totalmente sostituiranno quelli attuali. E allora dobbiamo tutti imparare a percepirci, più che in ruoli professionali cristallizzati, come un insieme di competenze sovrapposte e modulabili, a seconda dei ruoli richiesti. Le nuove competenze e la flessibilità nel proporsi come un mix di competenze, saranno il driver che modificherà il nostro modo di lavorare. Molte di esse sono competenze soft: le soft skills possono essere definite come una combinazione dinamica di competenze cognitive e meta cognitive, interpersonali e personali, intellettuali e pratiche, che ci aiutano ad adattare positivamente i nostri comportamenti alle inevitabili sfide della vita personale o professionale. E allora viene da chiedersi perché le scuole e le università (con alcune rare eccezioni) non riescono a dotare gli studenti anche di queste competenze?
In molte realtà educative, di qualunque ordine e grado, le modalità di insegnamento sono obsolete e frontali e poco abituano gli studenti ad essere coinvolti direttamente nel percorso di apprendimento. Invece, è ormai è riconosciuto che le modalità di apprendimento più feconde e che maggiormente predispongono all’acquisire, oltre che contenuti, meta competenze sono quelle di “active learning”. L’active learning è ogni metodo formativo che rende gli studenti parte attiva dei processi di apprendimento (imparare facendo, uso di supporti digitali, lavoro di gruppo, utilizzo di simulazioni o role plaiyng ). Veicolare l’apprendimento in maniera attiva, stimolando gli studenti ad usare il pensiero critico è già un modo per attivare l’utilizzo delle competenze trasversali, quali ad esempio, la capacità di risolvere i problemi, ma anche le capacità relazionali e di leadership. Tutte queste abilità possono essere apprese e attengono al mondo dell’intelligenza emotiva, perché presuppongono la capacità di riconoscere, gestire e comunicare correttamente i nostri pensieri e le nostre emozioni.
Ho avuto la fortuna di essere coinvolta in un interessante progetto europeo Erasmus+ denominato Elene 4 Life, condotto da partner internazionali tra cui Fondazione Politecnico di Milano, Università Lumsa di Roma e altre Università internazionali.
Il report pubblicato prima delle vacanze è intitolato “Transnational Analysis of the Transferability to Higher Education of Corporate Active Learning on Soft Skills”.
Il lavoro è stato condotto tra la fine del 2018 e marzo del 2019 attraverso una serie di interviste a HR managers, Ceo e formatori di vari paesi europei. L’analisi ha consentito di fotografare lo stato dell’arte delle metodologie più innovative e delle attività che promuovono l’acquisizione delle soft skills in ambito aziendale e esplora la possibilità di trasferirle al mondo universitario. Obiettivo è anche fornire alle Università esempi, scenari e buone pratiche, per lo sviluppo delle competenze trasversali maggiormente utilizzate nei training aziendali.
Nella mia esperienza sia come formatrice in contesti aziendali che come docente di intelligenza emotiva a studenti di diverso livello, ho sempre avuto modo di osservare che un apprendimento precoce di come utilizzare la propria intelligenza emotive fa la differenza nello spianare la strada della consapevolezza sulle proprie risorse e sul modo migliore per utilizzarle. E quindi consente di essere maggiormente autoefficaci e più sereni nel raggiungimento dei propri obiettivi personali e professionali
Nella definizione che ne da Daniel Goleman, l’intelligenza emotiva è il processo di compensione e trasformazione in azioni di pensieri ed emozioni relative a sé o agli altri.
Il progetto è molto articolato e sarà oggetto di approfondimenti successive in altre sedi.
Per il momento voglio soffermarmi su due considerazioni.
1. Allineare il mondo universitario a quello aziendale consente di ritornare ad una visione socratica dell’educazione: l’etimologia della parola educere vuol dire proprio tirar fuori e non infarcire di nozioni. In questo senso, le modalità di apprendimento basate sul learning by doing risultano senz’altro più efficaci e maggiormente accessibili.
D’altra parte, emerge chiaramente, anche dall’analisi proposta, che questa modalità di apprendimento può trasformarsi in un percorso di crescita sia per chi impara, che per chi insegna. L’insegnante dovrebbe, allora, trasformarsi in un facilitatore di apprendimento che veicola, unitamente ai contenuti, il mind-set utile a convertirli in esperienze. Mi chiedo però, nell’esperienza italiana, in cui gli insegnanti sono spesso poco motivati e sotto pagati quale sia il modo più opportuno di inserire dei percorsi che consentano loro di speriementare, prima di tutto su di sé, l’apprendimento di quelle competenze trasversali che andrebbero poi ad insegnare agli studenti (pensiero creativo e laterale, flessibilità relazionale, capacità di ascolto e di gestire i conflitti).
2. La seconda considerazione riguarda l’utilizzo di tool digitali, ovvero di strumenti complementari che possano supportare l’apprendimento attivo. Nell’analisi presentata naturalmente se ne sponsorizza l’utilizzo, non solo perché abilitano l’utilizzo delle competenze digitali, anch’esse indispensabili nel mondo del lavoro che cambia, ma anche perché facilitano il lavoro di gruppo, l’interazione e la creazione di communities. Ho personalmente collaborato con una società che ha sviluppato un tool (www.mychangemeter.com) utilizzato per misurare la possibilità di modificare alcuni comportamenti pre-stabiliti. Il tool consiste in una app da caricare sullo smartphone che viene utilizzata lungo un lasso di tempo che va da 1 a 5 settimane: la app consente di autvalutare i propri comportamenti all’inizio e poi quotidianamente e di prendere consapevolezza dei cambiamenti comportamentali che avvengono durante tale periodo. Quello che è stato molto interessante osservare è che tanto più si focalizza l’attenzione sulla necessità di osservare il comportamento (per valutarlo) tanto più ciò produce reali modifiche nello stesso. Quindi è proprio il livello di consapevolezza dell’osservatore a cambiare il contenuto dell’osservazione. Del resto questo è anche il principio alla base di tutte le attività di coaching o counseling, che aiutano le persone a cambiare dal profondo.
Progetti come Elene4life dovrebbero servire a supportare la formazione di chi si affaccia al mondo del lavoro, specialmente per quanto concerne l’utilizzo delle competenze soft. Introdurre, sviluppare e potenziare le metodologie di active learning mutuandole anche dal settore aziendale è uno dei modi per farlo, ci auguriamo, a partire dall’Università.
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