Scritto negli anni ’50, ma di un’attualità sconvolgente, il testo “Educare alla vita” pone uno degli interrogativi fondanti del nostro secolo, quello del rapporto tra educazione e società.
Per poter educare qualcuno occorre prima di tutto essere disponibili ad affrontare un processo di crescita, di autoeducazione, che non può che durare tutta la vita.

“Per proporre il giusto tipo di educazione, dobbiamo ovviamente comprendere il significato della vita nella sua totalità”. Krishnamurti
L’istruzione non può riguardare solo l’addestramento della mente. L’esercizio favorisce l’efficienza ma non determina la completezza.
Le conoscenze e l’efficienza sono necessarie, ma dar loro un’importanza eccessiva genera solo conflitto e confusione.
Vi è un tipo di efficienza ispirata all’amore che supera di molto l’efficienza legata all’ambizione. E senza l’amore, che permette una comprensione integra della vita, l’efficienza genera solo crudeltà.
L’individuo è un organismo complesso composto di diversi elementi che, proprio attraverso l’educazione andrebbero integrati. Il fine dell’educazione non è, quindi, creare eruditi, tecnici e carrieristi, ma crescere uomini e donne liberi dalla paura, poiché solo con la comprensione di noi stessi possiamo iniziare a cooperare.
L’educazione dovrebbe, quindi, risvegliare la capacità di essere autoconsapevoli e non limitarsi ad assecondare una gratificante espressione di sé.
Senza un’autoeducazione non si può pretendere di educare qualcuno.
Il giusto tipo di educazione
Non è ignorante chi non ha studiato, ma chi non conosce sé stesso
Γνῶθι σεαυτόν recitava l’iscrizione sul tempio di Apollo a Delfi.
L’educazione nel suo significato più alto, è la comprensione di sé, perché dentro ciascuno di noi è contenuta tutta l’esistenza.
Ma cosa ci insegna Krishnamurti rispetto al giusto tipo di educazione?
1. La formazione tecnica non è mai in grado di generare una comprensione creativa
2. Il possesso dell’istruzione tecnica è figlio del bisogno di controllo: ci dà l’illusione della sicurezza, ma ci allontana dalla comprensione della vita.
3. Educare significa, in senso letterale educere cioè suscitare, evocare da dentro, aiutare una persona a fiorire in amore e bontà, secondo le sue inclinazioni, senza sovrapporre un modello ideale di come noi vorremmo che fosse. Quindi anche l’educatore idealista non sta lavorando sulla fioritura dell’altro, ma su sé stesso. Gli ideali sono una comoda via di fuga. Il perseguimento di un’ideale esclude l’amore e senza amore nessun problema umano può essere risolto.
4. Non è possibile risvegliare la sensibilità attraverso la coercizione: premi e punizione rendono solo la mente sottomessa e ottusa. La coercizione genera antagonismo e paura.
5. Anche l’educazione religiosa, benché tutte le religioni affermino di amare Dio e che dobbiamo amarci l’un l’altro, se interpretate in maniera ideologica, possono instillare paura, sospetto e rivalità con i loro dogmi e le loro dottrine di premi e punizioni. Educare in modo religioso significa incoraggiare il bambino a comprendere la sua relazione con gli altri, con le cose, con la natura.
Nel saggio Educare l’uomo domani anche Roberto Assagioli dice che l’ambiente ideale per un bambino deve avere 4 qualità fondamentali:
1. amore, per eliminare ogni paura;
2. pazienza, perché si rispettino i ritmi naturali di sviluppo psicospirituale del bambino;
3. attività organizzata, per sviluppare il senso di responsabilità;
4. comprensione, perché i suoi impulsi siano ben interpretati.
Vedete quindi quanto, più del contenuto, conti la natura della relazione che stabiliamo con il bambino.
Come sosteneva anche Buber, nel saggio Io e tu, l’esistenza non sussiste senza relazione e, senza la conoscenza di sé, la relazione può solo generare conflitto e dolore.
Il bravo insegnante
L’influsso della famiglia e della scuola devono integrarsi.
Ma quali sono i requisiti di un bravo insegnante?
Secondo Krishnamurti l’insegnante “guida” si accosta al bambino, consapevole dei suoi bisogni e difficoltà, senza seguire metodi e formule, riuscendo ad essere vigile e attento. La giusta educazione dovrebbe, quindi, aiutare lo studente a scoprire la sua vera vocazione, e aiutarlo a capire se questa vocazione giova all’umanità per poter contribuire ad una trasformazione sociale.
L’insegnante deve essere sempre vigile, attento e consapevole dei suoi pensieri e sentimenti, dei suoi condizionamenti, delle sue attività e reazioni. È importante che sia libero dalla paura perché essa restringe il pensiero e l’azione e contagia i bambini. Se si è in preda a paura è importante verbalizzarla con i bambini spigandone le reazioni. Questo approccio onesto e sincero stimola l’apertura e la sincerità nei bambini.
L’educazione, richiede nell’educatore lo sviluppo di due qualità ardue, ma che lo obbligano ad elevarsi: da una parte dovrà sviluppare la comprensione, l’intuizione e la plasticità della sua disposizione d’animo, unitamente ad una tecnica consolidata. Ma, soprattutto è essenziale che sia educato ad autodominarsi: nell’arte di educare è essenziale riconoscere la vera natura del problema educativo. Esigere molto più da sé stessi che da chi educhiamo.
Arte, bellezza e creazione
“La sensibilità alla bellezza e alla bruttezza non sorge attraverso l’attaccamento; sgorga dall’amore, quando non ci sono conflitti generati dall’io”.
Se dentro siamo poveri, cerchiamo soddisfazione in forme di esibizione esteriore, nella ricchezza, nel potere, nel possesso.
La maggior parte di noi cerca di sfuggire da sé stesso e anche la dedizione all’arte può essere un modo per raggiungere questo scopo. In realtà la creazione è figlia del silenzio.
Quando la mente è tranquilla, quando è silenziosa perché l’io non è attivo, allora c’è creazione. L’amore per la bellezza può esprimersi in una canzone, in un sorriso o nel silenzio, così difficile da ascoltare.
Se non c’è bellezza nei nostri cuori, né spazio per il silenzio come possiamo aiutare i bambini ad essere attenti e sensibili?
Aperitivo letterario 28 ottobre 2015
Note a margine di Krishnamurti, Educare alla vita, Oscar Mondadori