Siamo costantemente iper-connessi con una realtà virtuale che rischia di generare relazioni mediate, che danno vita a comunicazioni a-sincrone, dove ognuno finisce per parlare con sé stesso senza ascoltare l’altro. E ciò non può che alimentare fraintendimenti e conflitti.

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Genitori con il cuore

La domanda che portiamo alla vostra riflessione oggi è: sono connesso o disconnesso?

Noi tutti viviamo in una situazione di ambivalenza.

La disconnessione è ormai diventata una struttura, anzi, viviamo nell’epoca delle disconnessioni: tra PIL e benessere, tra economia finanziaria ed economia reale, tra modelli di leadership e persone, tra avanzamento tecnologico e bisogni.

Le capacità di ascolto e di negoziazione possono allora aiutare ad entrare in relazione con l’altro (che sia il collega di lavoro, l’amico, il genitore o il figlio) in una modalità creativa e generativa, orientata a negoziare accordi duraturi e condivisi, che tengano in considerazione i bisogni di tutte le parti coinvolte.

La gestione di un conflitto si rivela, quindi, un’opportunità di crescita, atta a creare connessioni e a generare nuovi punti di vista, perché senza feedback non c’è apprendimento, senza condivisione non c’è risultato.

Al di là delle tecniche per risolvere i conflitti, devo chiedermi quali sono le emozioni che si generano in me durante il conflitto. Ho paura? Sono arrabbiato? Mi sento offeso perché l’altro non mi capisce? Oppure tendo a prevaricare?

Se non porto a consapevolezza queste emozioni, tendo ad erigere barriere e ad attivare meccanismi di difesa che rendono difficile un dialogo costruttivo.

Per generare connessioni autentiche dobbiamo spostare il locus mentale dal quale operiamo.

L’operazione da fare è, allora, prendersi un attimo per respirare e guardarsi dall’esterno.

La mente può osservare le emozioni, senza giudizio e restare in una posizione neutrale di osservatore esterno.

Proviamo a chiudere gli occhi e ad osservare il nostro respiro. Il respiro avviene e noi ne siamo consapevoli. Io non sono le emozioni che provo in quel momento.

Questo lavoro di consapevolezza, di disidentificazione, può essere appreso e soprattutto allenato grazie all’utilizzo di una risorsa importantissima che tutti noi possediamo, ma a cui spesso diamo poco valore. Si chiama intelligenza emotiva e la possiamo semplificare come la capacità di contattare, gestire e poi comunicare le nostre emozioni.

A differenza del QI (quoziente intellettivo) che rimane stabile nel tempo il QE (quoziente emotivo) può essere modificato.

L’intelligenza sociale, che è una delle componenti dell’intelligenza emotiva mi può aiutare ad entrare in una relazione strutturata con le emozioni, gli atteggiamenti e i comportamenti degli altri.

Lo posso fare in una modalità intuitiva ed empatica, cercando di mettermi nei panni dell’altro o lo posso fare attivando una qualità di ascolto attivo, che non sia solo orientato ai contenuti ma anche a comprendere l’altro nella sua globalità.

Posso ascoltare con le orecchie, con gli occhi e con il cuore.

Il Prof. Scharmer del Mit di Boston ci da qualche indicazione, distinguendo un ascolto di downloading che non fa che riconfermare pregiudizi o presupposizioni, pescando dal passato, da un ascolto fattuale che comincia ad orientarsi al comportamento ma con un atteggiamento di giudizio, ad un’ascolto empatico, di pancia, per poi arrivare ad un’ascolto generativo, con cui posso addirittura intercettare le potenzialità ancora inespresse di chi ho di fronte e attivare soluzioni creative prima impensabili.

Questo passaggio è un passaggio di consapevolezza difficile da attivare se non ci si apre profondamente all’altro con una qualità di presenza che fa sentire che l’altro c’è, esiste, anche se non si è d’accordo con lui.

Attenzione quindi anche al vostro modo di comunicare con il corpo.

Il corpo dialoga per noi e al nostro posto. Una buona postura di apertura e di attenzione è il presupposto per aprire qualunque negoziato.

Ascolto vuol dire, anche saper ascoltare sé stessi, intervenendo consapevolmente con un’operazione di disconnessione dalle mille distrazioni, quando è il momento di rimanere focalizzati su di sé e sui propri obiettivi.

Nell’era della trasformazione digitale la vera sfida è quindi promuovere una “cultura digitale” non solo orientata alla digitalizzazione tecnica e operativa, ma all’attivazione di quelle competenze dell’intelligenza emotiva che mettono le persone in grado di affrontare più agevolmente il cambiamento che le tecnologie digitali introducono.

Ascoltare vuol dire passare da un ego-sistema centrato sul mio bisogno ad un eco-sistema centrato sul bisogno del gruppo, compreso me.

E qui andiamo anche oltre l’intelligenza emotiva. Per attivare questa modalità di ascolto dobbiamo orientarci interiormente alle richieste dell’economy 4.0 che già ci sopravanza.

Anche l’avanzamento tecnologico per essere al servizio dell’evoluzione sociale deve esportare un modello che metta al centro le interazioni basate sull’amplificazione delle funzioni cognitive e comunicative.

La comunicazione uomo-uomo, macchina-macchina e uomo-macchina può essere facilitata solo se si attinge ad un patrimonio molto più grande, che chiameremo intelligenza collettiva dove si passi da ottimizzazione di funzioni sistemiche a un terreno comune di consapevolezza umana di attenzione a ciò che sta per emergere.

 

Intervento tenuto in occasione della Milano Digital Week il 18 marzo 2018 sul Tram dell’innovazione con @Womentech, Mario Dotti e ATM

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