RITORNO AL FUTURO – Step 4

RITORNO AL FUTURO – Step 4

Quanti di noi hanno sentito intimamente una chiamata verso una vita diversa o quantomeno verso l’espressione di parti di sé rimaste a lungo sopite, represse o, peggio, rimosse?

Genitori con il cuore

Nella fiaba di H. C. Andersen Il brutto anatroccolo, il povero pennuto capita in una famiglia di anatre e passa gran parte della vita a pensare di essere inadeguato: è sproporzionato, con le zampe troppo lunghe, la testa grossa, il piumaggio scuro e arruffato. È costretto, quindi, a vagabondare, ripudiato, finché non scopre la sua vera natura. Quando il brutto anatroccolo riconosce finalmente di essere un bellissimo cigno, smette di colpevolizzarsi, per non essere all’altezza delle aspettative delle anatre e, finalmente, può dispiegare il suo vero Sé in tutta la sua autenticità. Talvolta per caso, venendo in contatto con persone o situazioni che evocano quelle parti, ci rendiamo istintivamente conto che potremmo far parte di un mondo diverso, più in linea con la nostra natura, ma neghiamo a noi stessi la possibilità di esplorarla, semplicemente per paura di intraprendere una nuova via.
Nel mio lavoro con le #donne (in studio durante i training di formazione in azienda), ho avuto modo di osservare che tantissima #energia resta bloccata nel giudizio di sé: il cattivissimo #giudiceinteriore, che ciascuno di noi porta dentro, censura ogni variazione sul tema e, molto spesso, è più severo di quanto lo siano gli altri. Se lo facciamo parlare e diamo voce al suo criticismo capiremo da dove hanno origine i suoi condizionamenti. Per alcuni di noi parla con la voce di un padre autoritario che ci mette in secondo piano rispetto ai nostri fratelli, per altri con la voce di una madre frustrata nelle sue aspirazioni e rintanata in un inesorabile torpore.
Per altri ancora condanna idee, aspirazioni, soluzioni, possibilità perché fa più comodo restare nella zona di comfort, non rischiare, non risvegliare l’anima inquieta. Ho osservato con maggior frequenza questo fenomeno nelle donne, sia perché sono il campo di indagine che ho scelto di esplorare, sia perché la montagna di condizionamenti e gli #stereotipi culturali che subiscono da secoli le porta spesso a sentirsi in colpa e, quindi, ad alimentare la paura di non essere all’altezza delle situazioni sfidanti.
Ma gli stessi meccanismi operano anche per gli uomini.
Tutti continuiamo a reiterare schemi superati, perché abbiamo di noi stessi un’immagine che si identifica con le ferite che abbiamo riportato nella nostra infanzia. Crediamo che quella immagine sia tutto ciò che siamo e ci giudichiamo per questo.
Ma non è così.
Se volete provare a modificare questo vostro sentire, vi propongo un esercizio che troverete in calce al Capitolo quattro del libro THE HEALING HOME – La casa che cura. 7 passi per trasformare la tua casa e la tua vita, scritto con Silvana Citterio e pubblicato con Eifis Editore

Prendete carta e penna e dedicatevi del tempo in un posto tranquillo. Sedetevi comodamente e chiudete gli occhi.

• Immaginate di proiettarvi in un futuro vicino o lontano in un momento in cui siete sereni.
• Avete superato con successo una situazione che vi faceva molta paura e ora avete il tempo di riguardarvi indietro e rimirare il cammino percorso.
• Siete orgogliosi di voi e desiderate profondamente ringraziare le parti di voi (le qualità) che vi hanno spronato ad andare avanti e che vi hanno aiutato a portare a casa il risultato.
• Immaginatevi la scena con dovizia di particolari: dove vi trovate, che tempo fa, come siete vestiti, se ci sono persone con voi, qual è il vostro stato d’animo, quali i vostri gesti e cercate di assaporare ogni dettaglio della visualizzazione.
• Restate profondamente in contatto con quel che succede e solo dopo aver sentito, anche nel corpo, quel profondo senso di gratitudine che vi avvolge, aprite gli occhi e scrivete: “Cara… (qualità) desidero ringraziarti dal profondo del cuore, perché….”

Photo by Silvana Citterio

Codice femminile e gestione del conflitto: gli interessanti spunti della mitologia sumera(*)

Codice femminile e gestione del conflitto: gli interessanti spunti della mitologia sumera(*)

E’ possibile prendere spunto dalla simbologia della mitologia sumera, per offrire una chiave interpretativa della gestione consensuale del conflitto, ovvero  quella modalità in cui le parti si autodeterminano nella gestione del conflitto e contribuiscono fattivamente alla sua risoluzione?
Cristina Menichino, nel suo bellissimo libro “Il Conflitto e l’Archetipo della dea Inanna” ci suggerisce chiavi interpretative nuove e affascinanti.
Ma per rispondere a questa domanda abbiamo bisogno di orientarci con una road map, di cui mi limiterò a indicare 3 coordinate.

La prima è la visione del conflitto come processo evolutivo.
Il conflitto va letto, infatti, come un processo che non va colto in una prospettiva statica, ma dinamica, perché nella sua complessità contiene già la possibilità di trasformare la relazione che sta sotto.
In epoca sumera avviene un processo di evoluzione sociale che consente il passaggio da società basate sul matriarcato (dove la trasmissione del nome e dell’eredità avviene per via materna) a  società patriarcali verticali e gerarchizzate.
E’ un passaggio graduale che avviene durante il dipanarsi della civiltà sumera che  copre 2000 anni di storia (dal 4000 al 2000 a.c. circa).
La dea Inanna, come archetipo, simboleggia proprio questa trasformazione e rappresenta quindi – paradossalmente –  la simbologia di un passaggio dal disordine all’ordine, da un principio femminile ad un principio maschile (e viceversa), perché riassume in sé la potenzialità di contenere gli opposti e di contemperarli in una sintesi armonica, invece che in una logica dicotomica.
A differenza delle divinità della mitologia greca che vestivano le qualità del femminile con caratterizzazioni specifiche  e separate (Afrodite, la seduttività; Era, la fedeltà; Atena, la giustizia e la saggezza, Demetra il senso materno ecc..), Inanna incarna, in un magico caleidoscopio, le mille sfaccettature del femminile.
Il conflitto allora diventa il sintomo di una necessità evolutiva di un sistema da uno stato all’altro e ritorno.
Questa è una visione molto potente che ci consente di spostare l’osservazione del conflitto dal punto di vista di un terzo osservatore neutrale e imparziale. Questa è la visione che noi professionisti collaborativi intendiamo portare nelle organizzazioni come mind-set, come modello.

La seconda coordinata è l’osservazione del conflitto come dinamica emozionale.
Ogni persona che venga coinvolto nel conflitto finisce per entrare in contatto con le proprie emozioni, le proprie paure, le proprie contraddizioni.
Il conflitto è un’occasione per rivolgere la telecamera verso di noi, osservare le risonanze interne nel conflitto e darci occasione per trasformare non solo la relazione con l’altro ma anche la relazione con noi stessi.
Quindi entrare in contatto con il conflitto vuol dire entrare in contatto con la nostra parte ombra, il lato oscuro della nostra forza, direbbe Luke Skywalker (il personaggio protagonista della saga di Guerre Stellari) osservarla senza giudizio e provare a trasformarla per rendere la sua risposta più funzionale alle sollecitazioni esterne.

La terza è l’influsso dell’archetipo femminile nella società.
Abbiamo detto che, proprio a partire dalla società sumera, si assiste ad un progressivo spostamento da una società matriarcale ad una società patriarcale dei cui principi siamo tuttora pervasi.
E allora la domanda che dobbiamo porci è: non è che i tempi sono maturi per tornare ad un codice femminile nella gestione del conflitto?
E qui vorrei portare il focus nell’ambito delle organizzazioni, riportando il punto di vista di un illustre psicoanalista, Massimo Recalcati , intervenuto recentemente al Congresso Nazionale di Aidp (Associazione direzione del personale) di cui faccio parte.
Affinché le organizzazioni ripartano nel post-pandemia occorre lavorare sulle relazioni e sulla fiducia e, quindi, sostituire l’imperante codice paterno, dove le persone sono numeri, dove l’organizzazione prevale sulla relazione, dove il modello separativo gerarchico e competitivo è fortemente condiviso, con un codice materno inclusivo, dove l’attenzione è riservata ad ogni persona, dove la comunicazione (e la leadership sono orizzontali), dove la diversità è valorizzata attraverso l’ascolto e l’espressione della creatività.
Tutti questi sono principi veicolabili in un modello di leadership femminile basata sulla fiducia e sulla responsabilità, e in una logica eco-sistemica delle organizzazioni e non ego-centrata sulla figura del leader di potere.
Non serve dire che occorre sia veicolata da uomini e donne, visto che in Italia oggi siamo ancora al 76esimo posto su 153 paesi per Global Index Gender Gap.
Il codice paterno e materno non si escludono, ma possono essere contemperati nella gestione del conflitto.
La differenza la fa la consapevolezza (organizzativa, sociale, personale) e qui ciascuno di noi sa qual è la sua respons-abilità e il contributo che può portare alla visione del conflitto come occasione di crescita.

(*) Intervento in occasione della Presentazione del libro di Cristina Menichino, Il conflitto e l’Archetipo della Dea Inanna, svoltosi on line il 27 aprile 2021 a cura di EnnepuntoZero