I DONI DEL VIAGGIATORE-Step 7

I DONI DEL VIAGGIATORE-Step 7

Quando si torna da un viaggio si ha voglia di condividere le esperienze vissute e di portare in dono alle persone a cui teniamo oggetti che, simbolicamente, ne testimonino il valore.
Eccoci quindi alla conclusione del percorso in 7 passi alla scoperta del libro THE HEALING HOME-La casa che cura. 7 passi per trasformare la tua casa e la tua vita, scritto con Silvana Citterio e pubblicato con Eifis Editore.

Genitori con il cuore

Dopo aver ascoltato i nostri bisogni (Osservare con consapevolezza – Step 1) e averli analizzati con oggettività e amorevolezza (Casa interiore e casa esteriore – Step 2) abbiamo lasciato andare ciò che non  serviva, per sradicare vecchie abitudini, Ripulire la casa e sbloccare le energie (Step 3). Ciò ha consentito di riscoprire parti o luoghi a lungo rimasti sopiti o nascosti  e di rivitalizzarli  Ritorno al futuro (Step 4).
Solo con un bagaglio leggero può cominciare  il viaggio più importante, quello verso noi stessi, l’unico in grado di attivare la forza di cambiamento e di  Trasformare i buoni propositi in azioni (Step 5).
Ma non esiste viaggio che non produca trasformazione (Ritrovarsi dopo un viaggio – Step 6).
Abbiamo imparato che, quando capiamo la verità su di noi, spesso la vita diventa molto più difficile, prima di migliorare: la trasformazione esige la morte di un vecchio sistema, perché ne possa emergere uno nuovo.

Ora è il momento di concludere il nostro viaggio e di guardarci indietro per osservare quanta strada abbiamo fatto e che persone siamo diventati.
La risposta a questa domanda costituisce probabilmente lo scopo trasformativo di qualunque percorso di crescita personale. Il lavoro di crescita, infatti, consiste nel creare deliberatamente un nuovo modello più affine a noi: è un vestito fatto su misura, di cui posso scegliere le stoffe, la fattura, il colore, così come abbiamo fatto per la nostra casa.
Nella ricerca possiamo prendere spunto anche dagli altri, ma dobbiamo necessariamente partire dalle nostre potenzialità e limiti.
Per capitalizzare il percorso, potrebbe  allora essere utile farsi alcune domande.
Quali sono le mie risorse di adesso?
Questa è la prima domanda da porsi, per connettersi alla nuova forza che abbiamo sentito emergere e in cui abbiamo anche potuto riconoscere la scintilla di una risorsa che già esisteva, ma che faceva fatica a venire alla luce.
Il punto d’attenzione è proprio questo. Valorizzare la risorsa che ci ha consentito di superare le difficoltà significa darsi la possibilità di affrontare altre situazioni difficili e, quindi, sentirsi più forti e consapevoli delle proprie capacità.

In che cosa è consistita la mia trasformazione? Che tipo di persona sono diventato?
Visto che nessuno ha il potere di far cambiare un’altra persona, se questa non lo vuole, quando le cose non funzionano noi abbiamo solo due strade: trasformare noi stessi o trasformare la dinamica di una relazione. E molto spesso lavorando su di noi, automaticamente cambia anche l’equilibrio delle relazioni, cui comunque porteremo nuova linfa con un mutato atteggiamento.

Quali risorse desidero ringraziare per avermi aiutato?
Questa è una domanda particolarmente importante, perché ci consente di riconoscere e alimentare una preziosa qualità di cui spesso fatichiamo a fidarci, la #gratitudine.
Essere grati ad una parte di noi che ci è venuta in soccorso in un momento difficile ci fa stare bene e crea quello schema di pensiero che conforta sul passato e rassicura sul futuro.
Naturalmente potremmo anche trovarci in una parte del percorso in cui contestualmente alle risorse che ci hanno già aiutato possiamo richiamarne di nuove, che vorremmo ci aiutassero adesso.
Del resto ognuno di noi ha una cassetta degli attrezzi ricolma di strumenti preziosi (anche se spesso non ne è consapevole).
L’ultima domanda che dovrei pormi alla fine di un percorso come questo apre la visuale sulla “missione” che ciascuno di noi è chiamato a svolgere in relazione alla sua appartenenza alla comunità, al tessuto sociale, all’organizzazione di cui fa parte.

Con quello che ho imparato posso restituire nuovo valore alla mia comunità?
Uscire da logiche ego-centrate, per entrare in logiche ecosistemiche, può consentire a ciascuno, non solo di sollecitare il suo senso di appartenenza ad un contesto, ma anche di poter fecondamente contribuire all’evoluzione dello stesso.
La risposta a questa domanda è la ragione per cui Silvana ed io abbiamo deciso insieme di scrivere questo libro.
E la narrazione del viaggio è stata essa stessa un nuovo viaggio, alla cui conclusione siamo giunte un anno fa, ma da cui stanno già germogliando nuovi percorsi che, ci auguriamo, possano essere utili a ripartire più forti e più consapevoli di prima.

Restate con noi, vi diremo presto

Photo by Silvana Citterio

IN VIAGGIO VERSO SE STESSI – Step 6

IN VIAGGIO VERSO SE STESSI – Step 6

Nel capitolo 6 del nostro libro THE HEALING HOME – La casa che cura il viaggio è assunto come metafora del processo di trasformazione interiore: si parla di “Viaggio dell’Eroe” come di un #archetipo universale, comune a diverse culture, e rappresentativo del processo di crescita che ogni essere umano si trova a dover affrontare in più momenti della vita.
Simbolicamente possiamo dire di essere tutti eroi in viaggio.

Genitori con il cuore
Continua il percorso in 7 passi alla scoperta del libro THE HEALING HOME-La casa che cura. 7 passi per trasformare la tua casa e la tua vita, scritto con Silvana Citterio e pubblicato con Eifis Editore.
Dopo aver ascoltato i nostri bisogni (Osservare con consapevolezza – Step 1) e averli analizzati con oggettività e amorevolezza (Casa interiore e casa esteriore – Step 2) è giunto il momento di lasciar andare ciò che non  serve, per sradicare vecchie abitudini, Ripulire la casa e sbloccare le energie (Step 3).
Lasciare andare il vecchio, apre spazio al nuovo, alla scoperta consapevole di ciò che ci piace e ci fa vibrare.
Può trattarsi anche di una riscoperta, di parti di sé a lungo rimaste sopite o nascoste, una sorta di Ritorno al futuro (Step 4).
Solo con un bagaglio leggero può cominciare  il viaggio verso se stessi, per ritrovarsi finalmente in contatto con la propria nota autentica e cominciare a Trasformare i buoni propositi in azioni (Step 5).
Non esiste viaggio che non produca trasformazione.
Nel capitolo 6 del nostro libro il Viaggio è assunto come metafora del processo di trasformazione interiore: si parla di Viaggio dell’Eroe come di un archetipo universale, comune a diverse culture e rappresentativo del processo di crescita che ogni essere umano si trova a dover affrontare in più momenti della vita.
Simbolicamente possiamo dire di essere tutti eroi in viaggio.
Non solo. Il viaggio dell’Eroe è un paradigma narrativo, facilmente rintracciabile in molti libri e film.
Il viaggio dell’eroe è un #viaggiointeriore verso le profondità oscure dell’essere, per resuscitare poteri dimenticati e riscoprire parti di sè.
Quando capiamo la verità su noi stessi, spesso la vita diventa molto più difficile, prima di migliorare: la trasformazione esige la morte di un vecchio sistema, perché ne possa emergere uno nuovo.
Il compito fondamentale dell’eroe è trovare un altro modo di vivere e di tornare a raccontarlo.
A fronte di una parte che muore ne rinasce un’altra.
Si esce da una posizione di #dipendenza dalle proprie #credenzelimitanti per rinascere autonomi.
Nelle narrazioni che funzionano, l’eroe non è uguale a se stesso all’inizio e alla fine del viaggio: ha illuminato parti di sé inconsce, che agivano contro di lui e questa consapevolezza ne fa una persona diversa.
Nel processo per divenire esseri umani compiuti, l’eroe incappa sempre in un antagonista, ma se coltiva adeguatamente la fiducia nelle proprie risorse, può trovare – lungo la strada – anche tanti aiutanti.
Tutti i cattivi e tutti gli amici dell’eroe sono dentro di noi. La prova psicologica che tutti noi dobbiamo affrontare è fondere queste parti divise in un’entità completa e equilibrata o, come direbbe la #Psicosintesi, integrare la molteplicità delle nostre parti in un sé unificato e consapevole di se stesso.
 In un racconto ben strutturato (così come nella vita) gli antagonisti sono strategici per la narrazione, perché hanno in sé una parte di luce. Pensiamo ad esempio alla saga di Guerre Stellari, dove il personaggio principale Luke SkyWalker deve scoprire da dove proviene, per dare voce al “lato oscuro della forza” e sublimarla, trasformandola in luce volta al bene.
I contenuti di cui fatichiamo a prendere consapevolezza, se ricacciati nell’oscurità dell’inconscio, si trasformano, infatti, in energia dannosa che ci indebolisce; se portati, invece, alla luce della conoscenza, si polverizzano e ci aiutano a crescere.
Ogni processo evolutivo parte da una visione dicotomica (il buono contro il cattivo) per arrivare ad una sintesi.
Le polarità apparentemente oppositive, che caratterizzano qualsiasi organismo vivente, presente in natura, e qualsiasi relazione diventano allora fisiologici strumenti per garantirne l’evoluzione.
Ed è proprio nella caverna dove abbiamo paura di entrare, che si trova il tesoro che stiamo cercando.
Questi e molti altri spunti troverete nel libro The healing Home – La casa che cura, 7 passi per trasformare la tua casa e la tua vita che potrete trovare qui

Photo by Silvana Citterio

TRASFORMARE I BUONI PROPOSITI IN AZIONI – Step 5

TRASFORMARE I BUONI PROPOSITI IN AZIONI – Step 5

Quando ci troviamo a dover affrontare un #cambiamento, il momento più complicato è quello in cui, dopo la comprensione di ciò che vogliamo trasformare, dobbiamo – necessariamente – concretizzare l’azione.

Genitori con il cuore
#Il lavoro necessario a trasformare i buoni propositi in #azioni richiede innumerevoli prove: occorre iniziare piano piano e, procedendo per piccoli passi, trasformare le idee in prototipi e migliorare, aggiustare, aggiungere e togliere, finché il risultato finale non ci soddisfa appieno.
Per farlo, dobbiamo attingere ad una facoltà, di cui tutti siamo dotati, che la #Psicosintesi denomina #Volontà e che possiamo tradurre come “il potere di autogovernarsi”. Ed è il driver che può aiutarci a surfare sulle onde del cambiamento con relativa leggerezza e senza troppa resistenza.
La volontà psicosintetica non è una volontà di autoforzatura, di coercizione a seguire una precisa direzione; anzi è un potere complesso che implica la capacità di autodeterminarsi, ma anche di lasciare andare ciò che non serve. Angela Maria La Sala Batà la definisce “la forza propulsiva che muove il sistema della consapevolezza”.
Io la immagino come una immensa forza d’amore, “l’amor che move il sole e le altre stelle” – per dirla con il Sommo Poeta #DanteAlighieri – un’esperienza diretta, una rivelazione improvvisa di una forza che forse non credevamo di avere, un potere di scelta, una guida forte e decisa che ci dà la direzione per la nostra realizzazione. Quando entriamo in contatto con la volontà sperimentiamo senza tentennamenti i suoi aspetti fondanti: forza, saggezza e bontà.
La sua forza è una energia che viene da dentro, che va sperimentata, ma che non deve essere dimostrata. Esiste. È.
Quindi, per prima cosa dobbiamo riconoscere di avere una volontà e poi di essere una volontà. Infine, dobbiamo allenarci ad esercitarla, poiché l’aspetto della forza non è l’unico.
La sua saggezza implica la capacità di guardare al futuro con una visione intelligente, emotivamente e spiritualmente intelligente. Possiamo dire che la volontà sapiente mette le giuste energie nella direzione di autorealizzazione (senza dispersioni inutili) e guarda al futuro con la certezza che il passo preciso che stiamo affrontando è esattamente quello che ci serve per #evolvere.
E infine la bontà – intesa come quella attitudine al bene nostro e del contesto in cui operiamo – deve caratterizzare l’espressione della volontà.
La volontà forte, sapiente e buona è il timone che ci consente di dirigere la nostra nave verso una direzione chiara e di facilitare l’orientamento delle vele per arrivare a destinazione.
Non è però da intendersi come un’attitudine contemplativa: va praticata e allenata continuamente.
C’è sempre un momento preciso in cui le mie clienti si trovano davanti alla “svolta” che consente loro di prendere veramente in mano il percorso e iniziare a guidare il viaggio del ritorno a sé, del ritorno alla propria casa interiore.
Nel nostro libro THE HEALING HOME – LA CASA CHE CURA scritto con Silvana Citterio e pubblicato con Eifis Editore  al capitolo 5, potrete leggere come, nel percorso con Silvana, quel momento di passaggio è coinciso con un particolare esercizio fatto insieme.
Quando all’inizio del nostro viaggio le chiesi di rappresentare sé stessa, Lei disegnò su un foglio una bambina ed una donna. Lo fece dividendo il foglio in due e mettendo le due figure nelle parti opposte dello stesso.
Quando finalmente mi resi conto che stava risalendo e recuperando la visione dal punto di vista del centro di Sé, di quell’osservatore esterno che stava prendendo in mano il timone della sua vita, le chiesi di riprendere quel disegno, di osservarlo e di sentire che cosa le suggeriva. E lei fece un gesto molto semplice, ma altamente significativo: cancellò la barriera che univa la parte donna e la parte bambina e collegò le due immagini di sé, senza soluzione di continuità. Allungò la mano della donna, affinché potesse prendere per mano la bambina. Quell’atto, quel gesto attivo rappresentato dalla modifica del suo disegno coincise esattamente con il momento in cui iniziò il processo di trasformazione.
È la volontà a guidare il nostro processo di sintesi, quel processo che ci consente di accettare le varie facce che compongono il nostro caleidoscopio, per integrarle in una prospettiva unitaria, autentica e centrata.
Nel nostro libro, Silvana ed io spieghiamo come fare ad attivare questa forza trasformativa, attraverso il benefico potere della nostra casa che, lo abbiamo detto nelle puntate precedenti, è un simbolo vivo della nostra interiorità.
Cominciare a fare questo lavoro sulla propria #casa con gli spazi e con i colori è un esercizio molto potente che ci dimostrerà, praticamente, quale potere di autoguarigione ciascuno abbia in sé e come possa essere messo a frutto in diversi ambiti della nostra vita.

RITORNO AL FUTURO – Step 4

RITORNO AL FUTURO – Step 4

Quanti di noi hanno sentito intimamente una chiamata verso una vita diversa o quantomeno verso l’espressione di parti di sé rimaste a lungo sopite, represse o, peggio, rimosse?

Genitori con il cuore

Nella fiaba di H. C. Andersen Il brutto anatroccolo, il povero pennuto capita in una famiglia di anatre e passa gran parte della vita a pensare di essere inadeguato: è sproporzionato, con le zampe troppo lunghe, la testa grossa, il piumaggio scuro e arruffato. È costretto, quindi, a vagabondare, ripudiato, finché non scopre la sua vera natura. Quando il brutto anatroccolo riconosce finalmente di essere un bellissimo cigno, smette di colpevolizzarsi, per non essere all’altezza delle aspettative delle anatre e, finalmente, può dispiegare il suo vero Sé in tutta la sua autenticità. Talvolta per caso, venendo in contatto con persone o situazioni che evocano quelle parti, ci rendiamo istintivamente conto che potremmo far parte di un mondo diverso, più in linea con la nostra natura, ma neghiamo a noi stessi la possibilità di esplorarla, semplicemente per paura di intraprendere una nuova via.
Nel mio lavoro con le #donne (in studio durante i training di formazione in azienda), ho avuto modo di osservare che tantissima #energia resta bloccata nel giudizio di sé: il cattivissimo #giudiceinteriore, che ciascuno di noi porta dentro, censura ogni variazione sul tema e, molto spesso, è più severo di quanto lo siano gli altri. Se lo facciamo parlare e diamo voce al suo criticismo capiremo da dove hanno origine i suoi condizionamenti. Per alcuni di noi parla con la voce di un padre autoritario che ci mette in secondo piano rispetto ai nostri fratelli, per altri con la voce di una madre frustrata nelle sue aspirazioni e rintanata in un inesorabile torpore.
Per altri ancora condanna idee, aspirazioni, soluzioni, possibilità perché fa più comodo restare nella zona di comfort, non rischiare, non risvegliare l’anima inquieta. Ho osservato con maggior frequenza questo fenomeno nelle donne, sia perché sono il campo di indagine che ho scelto di esplorare, sia perché la montagna di condizionamenti e gli #stereotipi culturali che subiscono da secoli le porta spesso a sentirsi in colpa e, quindi, ad alimentare la paura di non essere all’altezza delle situazioni sfidanti.
Ma gli stessi meccanismi operano anche per gli uomini.
Tutti continuiamo a reiterare schemi superati, perché abbiamo di noi stessi un’immagine che si identifica con le ferite che abbiamo riportato nella nostra infanzia. Crediamo che quella immagine sia tutto ciò che siamo e ci giudichiamo per questo.
Ma non è così.
Se volete provare a modificare questo vostro sentire, vi propongo un esercizio che troverete in calce al Capitolo quattro del libro THE HEALING HOME – La casa che cura. 7 passi per trasformare la tua casa e la tua vita, scritto con Silvana Citterio e pubblicato con Eifis Editore

Prendete carta e penna e dedicatevi del tempo in un posto tranquillo. Sedetevi comodamente e chiudete gli occhi.

• Immaginate di proiettarvi in un futuro vicino o lontano in un momento in cui siete sereni.
• Avete superato con successo una situazione che vi faceva molta paura e ora avete il tempo di riguardarvi indietro e rimirare il cammino percorso.
• Siete orgogliosi di voi e desiderate profondamente ringraziare le parti di voi (le qualità) che vi hanno spronato ad andare avanti e che vi hanno aiutato a portare a casa il risultato.
• Immaginatevi la scena con dovizia di particolari: dove vi trovate, che tempo fa, come siete vestiti, se ci sono persone con voi, qual è il vostro stato d’animo, quali i vostri gesti e cercate di assaporare ogni dettaglio della visualizzazione.
• Restate profondamente in contatto con quel che succede e solo dopo aver sentito, anche nel corpo, quel profondo senso di gratitudine che vi avvolge, aprite gli occhi e scrivete: “Cara… (qualità) desidero ringraziarti dal profondo del cuore, perché….”

Photo by Silvana Citterio

La vera forza della gentilezza

La vera forza della gentilezza

La pratica della gentilezza è ormai necessaria , non solo come antidoto all’odio diffuso, ma anche come risorsa per il nostro ben-essere, per costruire relazioni feconde, per migliorare efficienza e apprendimento negli studi e nella vita professionale. Ecco il mio intervento all’Aperitivo letterario del 12 novembre 2019 ispirati da La forza della gentilezza di Piero Ferrucci, Mondadori.

Genitori con il cuore

Perché parlare di gentilezza

La gentilezza, diceva Goethe è una catena che tiene uniti gli uomini. Nella sua accezione comune la gentilezza richiama la buona educazione: un insieme di gesti da Galateo che insegnavano i nostri nonni.

Ma questa è una visione riduttiva. Provate a ricordare che cosa avete provato l’ultima volta che qualcuno è stato gentile con voi. Sicuramente vi sarete sentiti visti, riconosciuti nel vostro valore e avrete provato gratitudine nei confronti di quella persona.

E viceversa, cosa avete provato l’ultima volta che siete stati voi gentili con qualcun altro? Il cuore probabilmente si è aperto ad uno stato di benessere e attenzione verso il mondo fuori e avrete percepito connessione con l’altro.

La gentilezza è un ingrediente essenziale per non sprecare il capitale di rapporti umani che possediamo. La gentilezza fa bene a chi la riceve, ma anche a chi la dona.

Anche la scienza ha confermato che le persone gentili stanno meglio e vivono più a lungo.

I teorici dell’evoluzione mostrano che il dna delle persone gentili ha grandi possibilità di riprodursi, mentre i neurologi riscontrano un’attività più intensa nel lobo posteriore superiore temporale del cervello degli altruisti. E il punto è proprio questo: il fatto stesso di essere gentili è il beneficio della gentilezza. E quindi le prove scientifiche potrebbero anche non essere necessarie, anche se legittimano un modello di riconoscimento delle nostre emozioni che ci aiuta a capire come siamo fatti.

Se la nostra natura è quella di essere aperti, disponibili e empatici verso gli altri, oppure no.

La falsa gentilezza

Per parlare di gentilezza dobbiamo sgomberare il campo da tutte le forme di falsa gentilezza.

Non è gentilezza una generosità calcolata, volta ad ottenere vantaggi dagli altri.

Non è gentilezza la manifestazione di rabbia nascosta e non espressa, mascherata falsamente: questo è ciò che gli psichiatri chiamano una “formazione reattiva” ovvero il vestito per contenuti inconsci inaccettabili e, per ciò, adattati.

Non è gentilezza la passività o debolezza, quella di manzoniana memoria del “vaso di coccio in mezzo ai vasi di ferro”.

La gentilezza è, invece, un insieme di qualità sinergiche che possono essere agite singolarmente, ma che hanno ancora più potere trasformativo se agite insieme.

Le qualità di cui ci parla Piero Ferrucci sono innocuità, appartenenza, contatto, fiducia, empatia, calore, gioia, fiducia, sincerità, pazienza, flessibilità, generosità, gratitudine, servizio. Dedicheremo un’attenzione particolare a Innocuità e Gratitudine, la prima perché spesso malintesa nell’accezione comune, la seconda perché è il modo più facile per essere felici.

Innocuità

Ahimsa paramo dharma, diceva Ghandi riferendosi al principio universale della non violenza, tradotto dal sanscrito come Non nuocere è la legge suprema.

Ahimsa è anche il primo degli Yama, le pratiche etiche, le cose da non fare per un sincero ricercatore spirituale che si avvicina allo Yoga integrale. Nella sua accezione di Innocuità, il non nuocere è una capacità di segno negativo, ma non passiva: innocuità è un comportamento attivo che esige un lavoro di autoregolazione e di concentrazione attenta. Richiede intelligenza, consapevolezza, padronanza di sé e bontà d’animo.

“L’innocuità – dice Ferrucci – è la risposta ad una domanda fondamentale che ognuno di noi più o meno consciamente si pone: qual è il mio atteggiamento verso ogni essere vivente: di competizione e confronto? Di giudizio e critica? Di sfruttamento o vittimismo? (…)di paura e sospetto? Oppure di supporto, amicizia, calore e collaborazione? Questa risposta giace nella profondità del nostro essere ed è lì che dobbiamo andarla a scoprire.Il nostro implicito atteggiamento verso gli altri ci accompagna sempre, condiziona i nostri rapporti con gli altri, colora la nostra vita”. Gratitudine

Passando alla gratitudine, siamo sempre colpiti dall’intensità emotiva e dalla bellezza di questo sentimento. Ma il sentimento è solo l’aspetto più visibile della gratitudine. In realtà essa è prima di tutto un’operazione della mente e consiste nel riconoscere valore a ciò che la vita ci offre.

Tutto è perfetto così com’è, dicono gli orientali, anche se adesso non comprendiamo.

“La gratitudine – dice Ferrucci – è per definizione antieroica. Non dipende da quanto io sono bravo o forte o speciale. Anzi è basata sulla mia mancanza e sulla mia capacità di chiedere aiuto. Se non nascondo a me stesso quanto sono vulnerabile e incompleto, allora posso ricevere il beneficio che la vita mi offre ed essere grato”.

Nella relazione, spesso perdiamo questa opportunità perché, per coglierla pienamente dobbiamo accettare ancora una volta di essere senza difese e che la nostra felicità possa dipendere da qualcun altro.

Allora perché la gentilezza è una qualità contro-corrente?

Adam Phillips, in un articolo pubblicato con Barbara Taylor su Internazionale (dicembre 2018) e prima ancora sul Guardian dice “Nella nostra immagine degli esseri umani, la gentilezza non è un istinto naturale: siamo tutti pazzi, cattivi, pericolosi e profondamente competitivi. Le persone sono mosse dall’egoismo e gli slanci verso il prossimo sono forme di autoconservazione.”

La gentilezza è rischiosa, perché abilita un paradigma di dipendenza dagli altri. Per essere gentili, dobbiamo essere in grado di farci carico carico della vulnerabilità degli altri, e quindi della nostra. E ciò, dice Philips è diventata un segno di fragilità.

La società moderna occidentale rifiuta questa verità fondamentale e mette l’indipendenza al di sopra di tutto. Per gran parte della storia occidentale la gentilezza è stata legata alla cristianità, che per secoli ha fatto da collante culturale, tenendo uniti gli individui di una società.

Ma dal cinquecento in poi il comandamento cristiano “ama il prossimo tuo come te stesso” subisce la concorrenza dell’individualismo. Il Leviatano (1651) di Thomas Hobbes considera la generosità cristiana psicologicamente assurda. “Homo Homini Lupus” sostiene Hobbes: l’esistenza è una “guerra di tutti contro tutti”.

L’individualismo è un fenomeno recente, legate alle teorie sul capitalismo e visto come chiave di lettura della società moderna in opposizione al collettivismo. In realtà l’illuminismo, generalmente considerato l’origine dell’individualismo occidentale, difendeva le “inclinazioni sociali” contro gli “interessi privati”.

Anche se il sospetto più radicato nei confronti della gentilezza è che sia solo una forma di narcisismo camuffato, la gentilezza continua a esse­re un’esperienza di cui non riusciamo a fare a meno, sebbene il nostro sistema di valori contemporaneo, contribuisce a far sì che sembri utile in alcune circostanze, ma anche potenzialmente super­flua.

Conclusioni

Nella visione di molti cammini spirituali, ogni persona è tutti gli altri.

Così come in ogni cellula è contenuto il Dna dell’intero organismo, ogni individuo contiene in sé l’umanità intera.

Se siamo in grado di migliorare la vita di qualcun’altro e di accendere una luce nel suo cuore, questa è già una vittoria, una risposta umile e silenziosa alle sofferenze e ai disagi del nostro pianeta. “Quando ti viene data la possibilità di scegliere se avere ragione o essere gentile, scegli di essere gentile” Dr Wayne W. Dyer

Photo by Benjamin Davies on Unsplash

Codice femminile e gestione del conflitto: gli interessanti spunti della mitologia sumera(*)

Codice femminile e gestione del conflitto: gli interessanti spunti della mitologia sumera(*)

E’ possibile prendere spunto dalla simbologia della mitologia sumera, per offrire una chiave interpretativa della gestione consensuale del conflitto, ovvero  quella modalità in cui le parti si autodeterminano nella gestione del conflitto e contribuiscono fattivamente alla sua risoluzione?
Cristina Menichino, nel suo bellissimo libro “Il Conflitto e l’Archetipo della dea Inanna” ci suggerisce chiavi interpretative nuove e affascinanti.
Ma per rispondere a questa domanda abbiamo bisogno di orientarci con una road map, di cui mi limiterò a indicare 3 coordinate.

La prima è la visione del conflitto come processo evolutivo.
Il conflitto va letto, infatti, come un processo che non va colto in una prospettiva statica, ma dinamica, perché nella sua complessità contiene già la possibilità di trasformare la relazione che sta sotto.
In epoca sumera avviene un processo di evoluzione sociale che consente il passaggio da società basate sul matriarcato (dove la trasmissione del nome e dell’eredità avviene per via materna) a  società patriarcali verticali e gerarchizzate.
E’ un passaggio graduale che avviene durante il dipanarsi della civiltà sumera che  copre 2000 anni di storia (dal 4000 al 2000 a.c. circa).
La dea Inanna, come archetipo, simboleggia proprio questa trasformazione e rappresenta quindi – paradossalmente –  la simbologia di un passaggio dal disordine all’ordine, da un principio femminile ad un principio maschile (e viceversa), perché riassume in sé la potenzialità di contenere gli opposti e di contemperarli in una sintesi armonica, invece che in una logica dicotomica.
A differenza delle divinità della mitologia greca che vestivano le qualità del femminile con caratterizzazioni specifiche  e separate (Afrodite, la seduttività; Era, la fedeltà; Atena, la giustizia e la saggezza, Demetra il senso materno ecc..), Inanna incarna, in un magico caleidoscopio, le mille sfaccettature del femminile.
Il conflitto allora diventa il sintomo di una necessità evolutiva di un sistema da uno stato all’altro e ritorno.
Questa è una visione molto potente che ci consente di spostare l’osservazione del conflitto dal punto di vista di un terzo osservatore neutrale e imparziale. Questa è la visione che noi professionisti collaborativi intendiamo portare nelle organizzazioni come mind-set, come modello.

La seconda coordinata è l’osservazione del conflitto come dinamica emozionale.
Ogni persona che venga coinvolto nel conflitto finisce per entrare in contatto con le proprie emozioni, le proprie paure, le proprie contraddizioni.
Il conflitto è un’occasione per rivolgere la telecamera verso di noi, osservare le risonanze interne nel conflitto e darci occasione per trasformare non solo la relazione con l’altro ma anche la relazione con noi stessi.
Quindi entrare in contatto con il conflitto vuol dire entrare in contatto con la nostra parte ombra, il lato oscuro della nostra forza, direbbe Luke Skywalker (il personaggio protagonista della saga di Guerre Stellari) osservarla senza giudizio e provare a trasformarla per rendere la sua risposta più funzionale alle sollecitazioni esterne.

La terza è l’influsso dell’archetipo femminile nella società.
Abbiamo detto che, proprio a partire dalla società sumera, si assiste ad un progressivo spostamento da una società matriarcale ad una società patriarcale dei cui principi siamo tuttora pervasi.
E allora la domanda che dobbiamo porci è: non è che i tempi sono maturi per tornare ad un codice femminile nella gestione del conflitto?
E qui vorrei portare il focus nell’ambito delle organizzazioni, riportando il punto di vista di un illustre psicoanalista, Massimo Recalcati , intervenuto recentemente al Congresso Nazionale di Aidp (Associazione direzione del personale) di cui faccio parte.
Affinché le organizzazioni ripartano nel post-pandemia occorre lavorare sulle relazioni e sulla fiducia e, quindi, sostituire l’imperante codice paterno, dove le persone sono numeri, dove l’organizzazione prevale sulla relazione, dove il modello separativo gerarchico e competitivo è fortemente condiviso, con un codice materno inclusivo, dove l’attenzione è riservata ad ogni persona, dove la comunicazione (e la leadership sono orizzontali), dove la diversità è valorizzata attraverso l’ascolto e l’espressione della creatività.
Tutti questi sono principi veicolabili in un modello di leadership femminile basata sulla fiducia e sulla responsabilità, e in una logica eco-sistemica delle organizzazioni e non ego-centrata sulla figura del leader di potere.
Non serve dire che occorre sia veicolata da uomini e donne, visto che in Italia oggi siamo ancora al 76esimo posto su 153 paesi per Global Index Gender Gap.
Il codice paterno e materno non si escludono, ma possono essere contemperati nella gestione del conflitto.
La differenza la fa la consapevolezza (organizzativa, sociale, personale) e qui ciascuno di noi sa qual è la sua respons-abilità e il contributo che può portare alla visione del conflitto come occasione di crescita.

(*) Intervento in occasione della Presentazione del libro di Cristina Menichino, Il conflitto e l’Archetipo della Dea Inanna, svoltosi on line il 27 aprile 2021 a cura di EnnepuntoZero